FAQ

1. Che cos'è la successione ereditaria e come si apre?


La successione ereditaria è l'istituto giuridico in forza del quale, a seguito della morte di una persona (de cuius), il suo patrimonio (l'asse ereditario) viene trasferito agli eredi. Il Codice Civile prevede due titoli fondamentali per la delazione (ossia l'offerta) dell'eredità:

  • Successione Testamentaria: Si verifica quando il de cuius ha disposto dei propri beni tramite un Testamento (olografo, pubblico o segreto), che esprime la sua ultima volontà.

  • Successione Legittima (o ab intestato): Si applica in assenza totale o parziale di un testamento valido. La devoluzione ereditaria avviene in questo caso secondo l'ordine e le quote stabilite dalla legge (art. 565 e ss. c.c.).

La successione si apre (giuridicamente) nel momento della morte del de cuius e nel luogo del suo ultimo domicilio. 

2. Chi sono gli eredi legittimi e qual è l'ordine di chiamata?


In assenza di testamento, la legge individua gli eredi legittimi in base al vincolo di parentela con il defunto, seguendo categorie rigorose:

  • Coniuge e Figli: Sono i successori prioritari. L'eredità è ripartita in quote precise che variano a seconda del numero di figli e della concorrenza o meno del coniuge .

  • Ascendenti e Fratelli/Sorelle: Subentrano solo in assenza di figli. Concorrono con il coniuge, se superstite, o chiamati in via esclusiva in assenza di coniuge, figli e loro discendenti.

  • Altri Parenti: In mancanza delle categorie precedenti, l'eredità si estende ai parenti collaterali più lontani, fino al sesto grado di parentela.

  • Lo Stato: Qualora non vi siano eredi entro il sesto grado, o tutti gli eredi abbiano rinunciato, l'eredità viene devoluta allo Stato italiano.

3. Che cos'è la quota di legittima e chi sono i legittimari?


La quota di legittima (o quota di riserva) è la porzione dell'asse ereditario che la legge riserva obbligatoriamente ai congiunti più stretti, definiti legittimari.

  • Chi sono i Legittimari: Il coniuge superstite, i figli (e i loro discendenti in rappresentazione) e, solo in assenza di figli, gli ascendenti (genitori).

  • Tutela: Il de cuius può disporre liberamente solo della parte restante del patrimonio (la cosiddetta quota disponibile). Se il testamento o le donazioni fatte in vita ledono la quota di riserva del legittimario, quest'ultimo può agire in giudizio con l'Azione di Riduzione per reintegrare la propria quota garantita per legge.

Lo Studio Legale fornisce assistenza fondamentale per valutare la lesione della legittima e avviare le azioni legali necessarie. 

4. Quali sono le forme legali di testamento in Italia?


Il Testamento è l'atto revocabile con cui il testatore dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere (art. 587 c.c.). Il Codice Civile riconosce tre forme ordinarie:

Forma di Testamento Caratteristiche Principali Vantaggi e Svantaggi:

Olografo Interamente scritto, datato e sottoscritto di mano del testatore. Massima riservatezza e gratuità. Rischio di smarrimento/distruzione e possibilità di contestazione sull'autenticità.
Pubblico Redatto dal Notaio che raccoglie le volontà orali del testatore in presenza di due testimoni. Massima sicurezza giuridica, validità formale garantita e conservazione sicura. Meno riservato e comporta costi.
Segreto Scritto dal testatore (o da altri) e consegnato sigillato al Notaio in presenza di due testimoni, senza rivelarne il contenuto. Riservatezza sul contenuto, con sicurezza sulla conservazione notarile. Richiede formalità e costi. 

5. Qual è la differenza sostanziale tra erede e legatario?


La distinzione è cruciale ai fini della responsabilità patrimoniale e delle procedure di acquisizione:

Erede Successore a Titolo Universale: Subentra in tutti i rapporti attivi e passivi del de cuius, in tutto il patrimonio o in una quota percentuale. Risponde dei debiti ereditari anche con il proprio patrimonio personale (salvo accettazione con beneficio d'inventario).
Legatario Successore a Titolo Particolare Riceve solo uno o più beni determinati o diritti specifici (legato) stabiliti dal testatore (es. un immobile specifico, una somma di denaro). Non risponde dei debiti ereditari (o ne risponde solo entro il limite del valore del legato ricevuto). 

6. Gli eredi sono responsabili per i debiti del defunto?


Sì, l'erede subentra nell'attivo e nel passivo. Chi accetta l'eredità assume la responsabilità illimitata per i debiti del de cuius (principio della confusione dei patrimoni).

Per tutelarsi da un rischio di passività eccedenti l'attivo ereditario, la legge prevede due strumenti:

  1. Accettazione con Beneficio d'Inventario: Procedura formale (davanti a Notaio o Cancelliere) che mantiene separato il patrimonio del defunto da quello dell'erede. L'erede risponde dei debiti ereditari esclusivamente nei limiti del valore dei beni ricevuti, salvaguardando il proprio patrimonio personale.

  2. Rinuncia all'Eredità: Atto formale e non revocabile con cui il chiamato all'eredità dichiara di non voler acquisire il patrimonio e, di conseguenza, si libera da ogni responsabilità per i debiti ereditari.

7. Quali sono i termini per accettare o rinunciare all'eredità?


Il diritto di accettare (o rinunciare) l'eredità si prescrive in dieci anni dall'apertura della successione (data del decesso).

Tuttavia, i termini sono drasticamente ridotti nel caso in cui il chiamato all'eredità sia nel possesso dei beni ereditari (ad esempio, se vive nella casa del defunto o ne gestisce gli affari):

  • Inventario: Deve essere redatto entro tre mesi dal giorno di apertura della successione.

  • Decisione: Dopo l'inventario, il chiamato ha quaranta giorni per accettare con beneficio d'inventario o rinunciare.

  • Decadenza: Se i termini non vengono rispettati, il chiamato viene considerato erede puro e semplice, assumendo l'intera responsabilità per i debiti.

8. Che cos'è la Dichiarazione di Successione e la scadenza per la presentazione?


La Dichiarazione di Successione è un adempimento fiscale obbligatorio da presentare all'Agenzia delle Entrate. Non è un atto di accettazione, ma serve a:

  • Comunicare formalmente il trasferimento del patrimonio ereditario.

  • Determinare le basi imponibili per il calcolo delle imposte dovute.

  • Ottenere la voltura catastale degli immobili.

La dichiarazione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data di apertura della successione. L'inosservanza di tale termine comporta l'applicazione di sanzioni amministrative e interessi di mora.

9. Quali imposte di successione si pagano sull'eredità?


In Italia è prevista un'Imposta sulle Successioni che si applica sul valore dei beni ereditati, con aliquote differenziate in base al grado di parentela e con franchigie (soglie esenti) oltre le quali si inizia a pagare. Attualmente le principali aliquote dell'imposta di successione sono:

  • Coniuge e figli (parenti in linea retta): 4% sul valore ereditato da ciascuno, applicabile però solo sulla parte che eccede una franchigia di €1.000.000 a testacafcisl.it.

  • Fratelli e sorelle: 6% sulla quota ereditata da ciascuno, oltre una franchigia di €100.000 ciascunocafcisl.it.

  • Altri parenti fino al 4° grado e affini fino al 3° grado: 6% senza franchigia (ad eccezione delle categorie sopra indicate).

  • Soggetti non parenti: 8% sul valore ricevuto, senza alcuna franchigia.

Va ricordato che per i beneficiari portatori di handicap grave è prevista una franchigia speciale di €1.500.000. Inoltre, indipendentemente dall'imposta successoria, sugli immobili ereditati si pagano sempre l'imposta ipotecaria (2% del valore catastale) e l'imposta catastale (1% del valore catastale), salvo agevolazioni prima casa se spettanti. Queste imposte ipotecaria/catastale hanno ciascuna un minimo fisso di €200. In sintesi, molti eredi in linea retta non pagano nulla di successione se l'attivo ereditario per ciascuno non supera il milione di euro, mentre per patrimoni più consistenti o per eredi non diretti si applicano le aliquote sopra indicate.

10. Donazioni in vita e obbligo di collazione ereditaria
 


La collazione ereditaria è l'istituto giuridico che obbliga determinati eredi (figli, discendenti e coniuge del defunto) a conferire nell'asse ereditario le donazioni in vita ricevute dal defunto. In pratica, se un genitore ha donato beni o denaro a un figlio mentre era in vita, al momento della successione quel figlio deve collazionare quanto ricevuto (ossia riportare tali beni o il loro valore nella massa da dividere con gli altri coeredi). Questo meccanismo serve a garantire equilibrio e parità di trattamento tra gli eredi legittimari, evitando che chi ha già beneficiato di una donazione ottenga una porzione di patrimonio maggiore degli altri. L'obbligo di collazione scatta automaticamente all'apertura della successione, salvo che il defunto dispensi espressamente il donatario da tale obbligo nell'atto di donazione (dispensa valida solo entro i limiti della quota disponibile del patrimonio). Sono previste alcune eccezioni per le quali la collazione non opera: ad esempio, le donazioni di modico valore effettuate al coniuge, le spese sostenute per il mantenimento, l'educazione o le nozze dei figli non devono essere conferite. In sintesi, la collazione ereditaria sulle donazioni in vita garantisce che, nella divisione ereditaria, tutti i coeredi condividano equamente anche i beni già elargiti in anticipo ad alcuni di essi.  

11. Impugnazione di un testamento apocrifo (falso)


Se si sospetta che un testamento sia apocrifo (ossia falsificato o redatto da qualcuno che non è il defunto), la legge consente di impugnarlo per farlo dichiarare nullo. L'erede o interessato che dubita dell'autenticità del documento deve avviare un'azione legale dinanzi al Tribunale, chiedendo l'accertamento che il testamento olografo non proviene realmente dal defunto (ad esempio perché la firma è falsa o il contenuto è stato alterato). Nel corso del giudizio verranno prodotte prove, spesso tramite una perizia calligrafica, per verificare se la grafia e la firma appartengono al de cuius, oltre ad eventuali testimonianze sulle circostanze della redazione. Se il giudice accerta che si tratta di un testamento falso, ne dichiara l'invalidità: il testamento apocrifo viene considerato nullo e privo di effetti. In tal caso, l'eredità verrà devoluta secondo un testamento precedente valido (se esistente) oppure in base alle regole della successione legittima (come se il testamento falso non ci fosse mai stato). Va sottolineato che la falsificazione di un testamento costituisce anche un reato penale grave (falsità in testamento) e che esiste un termine di legge per agire: generalmente l'azione civile di impugnazione del testamento falso va promossa entro cinque anni dalla scoperta della falsità. Data la delicatezza della materia, è consigliabile agire con tempestività e avvalersi di un avvocato esperto in diritto successorio per tutelare adeguatamente i propri diritti.  

12. Successione con eredi residenti all'estero: obblighi, procedure, imposte

La gestione di una successione in Italia con eredi residenti all'estero comporta alcuni obblighi e accorgimenti specifici. Anzitutto, va presentata in Italia la dichiarazione di successione entro 12 mesi dal decesso, come di regola, includendo tutti gli eredi (anche quelli non residenti) con le relative generalità e il codice fiscale. Se un erede risiede all'estero ed è privo di codice fiscale italiano, dovrà ottenerlo (tramite l'Agenzia delle Entrate o il Consolato italiano competente) in quanto necessario per completare la pratica. La comunicazione e il coordinamento a distanza sono fondamentali: spesso gli eredi non residenti rilasciano una procura a un rappresentante in Italia (ad esempio a un notaio o a un parente di fiducia) per firmare atti di accettazione dell'eredità o di vendita di beni, oppure possono sottoscrivere documenti successori presso le autorità consolari italiane all'estero.

Dal punto di vista fiscale, bisogna considerare le imposte di successione in un contesto internazionale. La regola generale è che l'Italia tassa tutti i beni ereditari, ovunque situati, se il defunto era residente fiscale in Italia al momento della morte; viceversa, se il defunto risiedeva all'estero, l'Italia applica l'imposta solo sui beni esistenti sul territorio italianoitaxa.it. Gli eredi residenti all'estero sono tenuti a pagare l'eventuale imposta di successione secondo le aliquote e franchigie previste dalla legge italiana: ad esempio il coniuge e i figli beneficiano di una franchigia di 1.000.000 € ciascuno e pagano il 4% sull'eredità eccedente tale soglia, i fratelli hanno una franchigia di 100.000 € e aliquota del 6%, mentre altri parenti fino al 4° grado o estranei pagano il 6% o l'8% senza (o con minime) franchigie. Oltre a ciò, per gli immobili ereditati si versano l'imposta catastale e ipotecaria (in genere rispettivamente 1% e 2% del valore, salvo agevolazioni prima casa per gli aventi diritto). Va anche valutata la fiscalità nel paese di residenza degli eredi o in altri paesi dove si trovano beni ereditari: se su un bene sono già state pagate tasse di successione all'estero, l'ordinamento italiano consente di richiedere un credito d'imposta corrispondente a quanto versato oltreconfineitaxa.it, così da evitare la doppia imposizione. In definitiva, le procedure per una successione con eredi all'estero richiedono una pianificazione accurata: è opportuno coordinarsi con professionisti (notai, avvocati) esperti in successioni internazionali, così da rispettare tutti gli adempimenti legali e fiscali italiani senza incorrere in errori o sanzioni, tenendo conto anche delle normative estere eventualmente applicabili.

13. Tempi di chiusura della successione in Italia


Non esiste un termine fisso entro cui una successione si "chiude" formalmente in Italia: l'eredità infatti si apre al momento del decesso e il trasferimento dei beni agli eredi avviene immediatamente per effetto dell'accettazione (o della chiamata all'eredità), senza bisogno di un provvedimento che sancisca la chiusura. Ciò premesso, possiamo individuare alcuni tempi procedurali importanti. La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dalla morte del de cuiusavvocloud.net, e la legge concede agli eredi fino a 10 anni di tempo per accettare l'eredità (termine massimo di prescrizione del diritto di accettare) – anche se nella pratica gli eredi decidono molto prima e, se sono già nel possesso dei beni ereditari, devono dichiarare se accettano o rinunciano entro 3 mesi.

In assenza di complicazioni, i tempi di definizione di una successione sono relativamente brevi. Per una successione semplice (pochi beni e nessuna disputa tra coeredi), è possibile completare tutti gli adempimenti in pochi mesi: dopo aver presentato la dichiarazione di successione e pagato le relative imposte, si procede all'aggiornamento delle intestazioni catastali degli immobili (voltura a favore degli eredi) e gli eredi possono liberamente disporre dei beni ereditati. Qualora sia necessaria la divisione formale dei beni tra coeredi, questa può essere effettuata consensualmente con un atto notarile in tempi altrettanto contenuti. Al contrario, nelle successioni complesse i tempi tendono ad allungarsi considerevolmente. Ad esempio, la presenza di liti tra eredi, di un testamento contestato (che richiede un giudizio di impugnazione), di eredi minorenni o incapaci (per i quali serve la nomina di un tutore e l'autorizzazione del giudice tutelare), oppure la necessità di liquidare beni indivisi può comportare anni prima di giungere a una definizione completa dell'eredità. In ogni caso è importante rispettare le scadenze legali (in primis quella annuale per la dichiarazione di successione) e avvalersi dell'assistenza di un avvocato specializzato in diritto successorio, così da velocizzare per quanto possibile la chiusura della pratica ereditaria ed evitare errori procedurali.


14. Sanzioni per ritardo nella dichiarazione di successione o altri adempimenti


Il mancato rispetto dei termini previsti per la dichiarazione di successione e per gli altri adempimenti obbligatori può comportare l'irrogazione di sanzioni fiscali. In particolare, se la dichiarazione di successione viene presentata in ritardo oltre il termine di 12 mesi, l'Agenzia delle Entrate applica una sanzione amministrativa calcolata in percentuale sull'imposta dovuta (imposta sulle successioni ed eventuali imposte ipotecarie/catastali): ad esempio un ritardo fino a 30 giorni comporta una multa dal 60% al 120% dell'imposta dovuta; per ritardi maggiori la sanzione aumenta, arrivando in caso di omessa dichiarazione (mai presentata) a un minimo del 120% fino a un massimo del 240% dell'imposta dovutadequo.it. Qualora sull'eredità non sia dovuta imposta (perché rientra nelle franchigie ed esente), è comunque prevista una sanzione fissa per il ritardo, generalmente compresa tra circa 250 € e 1.000 €dequo.it. È importante sapere che il sistema tributario italiano consente di attenuare queste penalità attraverso il ravvedimento operoso: se gli eredi presentano spontaneamente la dichiarazione tardiva prima che il Fisco avvii accertamenti, possono versare sanzioni ridotte. In pratica, più breve è il ritardo, più bassa è la multa – ad esempio, se la dichiarazione viene regolarizzata entro 90 giorni oltre la scadenza, la sanzione si riduce a un decimo del minimo previsto (quindi importi molto contenuti), mentre per ritardi di qualche mese o anno vi sono riduzioni via via minori ma comunque vantaggiose rispetto alla sanzione piena.

Oltre alle sanzioni pecuniarie, i ritardi negli adempimenti successori creano anche problemi pratici. Fino a quando la successione non viene dichiarata e definita, gli eredi non possono ottenere l'intestazione formale dei beni a loro nome: ad esempio gli immobili restano intestati al defunto e non sono liberamente vendibili, e i conti bancari del defunto rimangono bloccati (le banche richiedono la presentazione della dichiarazione di successione per sbloccare i conti). Inoltre, chi intende beneficiare di agevolazioni fiscali (come l'agevolazione "prima casa" per un immobile ereditato) non potrà usufruirne finché la pratica successoria non è regolarizzata. Infine, va ricordato che alcune procedure successorie speciali hanno scadenze da rispettare a pena di decadenza: ad esempio, se un erede ha accettato l'eredità con beneficio d'inventario, deve completare l'inventario dei beni entro i termini previsti (di regola tre mesi dall'accettazione, salvo proroghe concesse dal giudice) altrimenti perde il beneficio e sarà considerato erede puro e semplice, con responsabilità illimitata anche per gli eventuali debiti ereditari. In sintesi, è fondamentale occuparsi tempestivamente di tutti gli adempimenti successori sia per evitare sanzioni fiscali, sia per poter disporre liberamente dell'eredità senza incorrere in ulteriori conseguenze negative.

15. Come avviene la successione di un'azienda o impresa familiare in caso di decesso del titolare?


La successione di un'impresa familiare (azienda di famiglia) è un processo delicato, poiché occorre garantire sia il rispetto delle quote ereditarie sia la continuità aziendaleavvocatoporetti.it. In assenza di pianificazione specifica (ad esempio se non è stato stipulato un patto di famiglia), l'azienda entra a far parte del patrimonio ereditario e segue le regole ordinarie della successione legittima o testamentaria. Ciò significa che tutti gli eredi legittimi del titolare deceduto diventano comproprietari dell'impresa (si forma una comunione ereditaria sull'azienda). I familiari che già collaboravano nell'impresa (ai sensi dell'art. 230-bis c.c., "impresa familiare") hanno per legge un diritto di prelazione sull'azienda in sede di divisione ereditaria: in pratica, possono riscattare l'azienda rilevandola loro, purché liquidino gli altri coeredi secondo il valore delle rispettive quote. Se gli eredi intendono proseguire l'attività, dovranno gestirla congiuntamente sino alla divisione, eventualmente costituendo una società per proseguire l'azienda. Viceversa, se nessun erede vuole o può portare avanti l'impresa, si potrà procedere alla vendita o liquidazione dei beni aziendali, ripartendone il ricavato tra gli eredi. È importante ricordare che il titolare in vita può programmare il passaggio generazionale utilizzando il patto di famiglia: attraverso questo contratto, l'imprenditore può trasferire l'azienda (o le quote societarie) a uno o più discendenti scelti, assegnando contestualmente agli altri legittimari un valore equivalente alle proprie quote di legittima così da compensarli. In tal modo si evita la frammentazione dell'azienda e se ne assicura la continuità, riducendo il rischio di conflitti tra eredi e garantendo il rispetto delle porzioni ereditarie riservate per legge.

16. Cosa accade al conto corrente bancario dopo la morte del titolare? 


I soldi e i rapporti bancari del defunto rientrano nell'asse ereditario e spettano agli eredi secondo le rispettive quote. In pratica, alla notizia del decesso la banca di solito blocca il conto corrente intestato esclusivamente al defunto, in attesa di identificare gli eredi. Gli eredi devono comunicare il decesso all'istituto bancario e fornire la documentazione necessaria (ad esempio certificato di morte, atto notorio o dichiarazione sostitutiva attestante chi sono gli eredi, copia dell'eventuale testamento pubblicato, ecc.) per subentrare nei rapporti finanziari. Una volta accettata l'eredità, e presentata (se dovuta) la dichiarazione di successione all'Agenzia delle Entrate, le somme sul conto possono essere liquidate o trasferite agli eredi. Se il conto era cointestato, occorre distinguere: solo la quota parte del defunto rientra nell'eredità. In caso di conto cointestato a firme disgiunte, la banca in teoria permetterebbe al contitolare superstite di operare, ma nella prassi spesso blocca almeno la parte riferibile al defunto fino a definizione della successione, per tutelare i diritti di tutti gli eredi. Se invece il conto era a firme congiunte, viene normalmente congelato del tutto fino all'individuazione degli eredi e all'accordo di tutti per lo sblocco. È bene sapere che gli eredi subentrano anche nei debiti collegati al conto (ad esempio scoperti o finanziamenti) in proporzione alle loro quote ereditarie. Inoltre, dovranno restituire o riconsegnare alla banca gli strumenti di pagamento intestati al defunto (carte di credito, assegni). In sintesi, il saldo attivo del conto corrente va agli eredi, mentre il conto viene chiuso o intestato nuovamente a seconda dei casi; tutte le operazioni devono avvenire in modo tracciato e conforme alle procedure bancarie di successione, per cui è consigliabile rivolgersi alla banca tempestivamente e seguire le indicazioni fornite per sbloccare le somme in sicurezza. 

17. Qual è la differenza tra accettazione tacita ed accettazione espressa dell'eredità? 


 L'accettazione espressa dell'eredità consiste in una dichiarazione formale con cui il chiamato all'eredità manifesta esplicitamente la volontà di accettare, solitamente resa per iscritto in un atto pubblico o in una scrittura privata. Ad esempio, si ha accettazione espressa quando l'erede firma davanti a un notaio un'apposita dichiarazione di accettazione dell'eredità. L'accettazione tacita, invece, avviene senza una dichiarazione diretta, ma si desume dal comportamento dell'erede. Si verifica quando il chiamato compie un atto che implica necessariamente la volontà di accettare e che non potrebbe fare se non in qualità di erede (art. 476 c.c.). Un esempio tipico di accettazione tacita è la vendita o l'alienazione di un bene ereditario: se, senza aver prima dichiarato nulla, un figlio vende un immobile appartenuto al padre defunto, tale atto sottintende che egli ha accettato l'eredità, perché solo in veste di erede poteva validamente disporre di quel bene. In altre parole, nell'accettazione tacita la volontà di accettare si ricava da fatti concludenti (comportamenti), mentre nell'accettazione espressa la volontà è dichiarata in modo formale e diretto. Da notare che l'effetto giuridico è il medesimo: in entrambi i casi il chiamato diventa erede a tutti gli effetti (retroattivamente dal momento dell'apertura della successione) con conseguente acquisto dei beni ereditari e responsabilità per gli eventuali debiti. L'eredità non può essere accettata in parte: accettando (tacitamente o espressamente) si subentrerà nell'intero patrimonio attivo e passivo del defunto. È comunque sempre possibile optare per l'accettazione con beneficio d'inventario se si vuole limitare la responsabilità per i debiti ereditari, ma tale opzione – distinta dal tipo di accettazione – va espressa con le forme e nei termini di legge. 

18. Cosa sono le donazioni indirette e quale incidenza hanno sulla quota di legittima? 


Le donazioni indirette sono elargizioni di beni o vantaggi economici effettuate in modo indiretto, senza un formale atto di donazione, ma con altri negozi giuridici che producono comunque l'effetto di arricchire qualcuno a titolo di liberalità. Esempi comuni sono il pagamento del prezzo di una casa intestata al figlio (in tal caso si considera donato indirettamente il denaro per l'acquisto) oppure la vendita di un immobile al coniuge o al figlio a un prezzo simbolico. Dal punto di vista successorio, le donazioni indirette vengono prese in considerazione al pari delle donazioni "classiche" ai fini del calcolo della quota di legittima spettante ai legittimari (coniuge, figli, ascendenti). La legge infatti tutela i legittimari prevedendo che tutte le liberalità fatte in vita dal defunto vengano sommate idealmente al patrimonio relitto (cosiddetta riunione fittizia) per verificare se tramite quelle donazioni sia stata lesa la quota minima riservata ai legittimari. In caso di lesione della legittima, i legittimari pretermessi o lesi possono agire con la azione di riduzione anche nei confronti delle donazioni indirette ricevute da altri, allo scopo di ottenere il ripristino della propria quota ereditaria riservata. È importante evidenziare che, a differenza di una donazione formale, la donazione indiretta può rendere più complesso il rimedio: il legittimario leso non potrà generalmente recuperare il bene oggetto di donazione indiretta se questo è finito nel patrimonio di terzi, ma potrà esigere dal beneficiario della donazione una somma di denaro equivalente al valore necessario a reintegrare la sua quota. Ad esempio, se il de cuius aveva pagato una casa al figlio (donazione indiretta) e ciò ha leso la quota di legittima dell'altro figlio, quest'ultimo potrà chiedere in tribunale la riduzione della donazione e ottenere dal fratello beneficiario il conguaglio monetario corrispondente alla parte di eredità di cui è stato privato. In sintesi, anche le liberalità indirette sono soggette ai medesimi vincoli di legge a tutela dei legittimari: vanno collazionate o imputate nell'asse ereditario e, se ledono i diritti dei legittimari, possono essere ridotte (con obbligo per il beneficiario di restituire l'eccedenza). Un'attenta pianificazione patrimoniale è dunque opportuna per evitare che donazioni indirette fatte in vita provochino squilibri e successive cause ereditarie. 

19. Quali tutele e procedure speciali si applicano se tra gli eredi vi sono minorenni o persone incapaci? 


In presenza di eredi legalmente incapaci (minori di 18 anni, interdetti giudiziali o beneficiari di amministrazione di sostegno), la legge predispone una serie di tutele per proteggere i loro interessi. Innanzitutto, l'eredità per un minore o un incapace deve essere accettata con beneficio d'inventario (art. 471 c.c.), al fine di tenere separato il patrimonio ereditario da quello personale dell'erede e limitare la responsabilità per gli eventuali debiti del defunto. Inoltre, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale (oppure il tutore o l'amministratore di sostegno, a seconda dei casi) non possono accettare o rinunciare all'eredità per conto del soggetto incapace senza prima ottenere l'autorizzazione del giudice tutelare competente. Tale autorizzazione viene rilasciata dopo aver valutato che l'accettazione (sempre col beneficio d'inventario) o la rinuncia siano nel migliore interesse del minore/incapace. Ad esempio, se l'eredità è gravata da debiti che eccedono l'attivo, il giudice potrà autorizzare la rinuncia; viceversa, se vi è un attivo significativo, di regola verrà autorizzata l'accettazione con beneficio d'inventario. Durante la procedura, il giudice può nominare un curatore speciale qualora vi sia un conflitto di interessi tra il minore e il suo rappresentante legale (si pensi al caso in cui un genitore sia anche coerede): il curatore avrà il compito di rappresentare e tutelare esclusivamente gli interessi del minore nella successione. In ogni caso, l'accettazione beneficiata impone la redazione di un inventario dei beni ereditari e l'osservanza di regole conservative (ad esempio l'erede minorenne non può alienare i beni ereditati senza ulteriore autorizzazione del giudice, pena la decadenza dal beneficio). Questa disciplina garantisce che gli eredi minorenni o incapaci non vengano pregiudicati dall'inerzia o da decisioni imprudenti e che il loro patrimonio sia salvaguardato: l'obiettivo è conciliare la loro protezione con la necessità di definire la successione. I tempi e le formalità possono essere più complessi in questi casi (richieste al giudice, atti pubblici, etc.), perciò è consigliabile farsi assistere da un legale o dal notaio nella gestione della pratica successoria con minori o incapaci. 

20. Cosa si può fare se gli eredi sono in disaccordo sulla divisione dell'eredità? In cosa consiste la divisione giudiziale?  


Se gli eredi non riescono a trovare un accordo amichevole per dividersi i beni ereditari, la legge consente di ricorrere alla divisione giudiziale dell'eredità. Ogni coerede ha il diritto di chiedere in qualsiasi momento lo scioglimento della comunione ereditaria (nessuno può essere obbligato a rimanere in comunione sui beni ereditari). La procedura di divisione giudiziale si avvia con un atto di citazione in tribunale da parte anche di un solo coerede. Davanti al giudice, innanzitutto, si accerteranno quali siano gli eredi legittimati e quali beni compongano l'asse ereditario (spesso con l'ausilio di un consulente tecnico nominato dal tribunale per stimare i beni). In assenza di contestazioni sulla qualità di erede o sulle quote spettanti, il giudice passerà a disporre la divisione in senso stretto. Se i beni sono comodamente divisibili, verranno formate porzioni di valore equivalente alle quote di ciascun erede, assegnando a ognuno determinati beni. Se invece – come accade di frequente – vi sono beni indivisibili (ad es. un unico immobile) o non facilmente frazionabili, il tribunale potrà ordinarne la vendita (anche all'asta) e distribuire il ricavato tra gli eredi in proporzione alle rispettive quote. Durante il processo divisionale è prevista anche una fase di mediazione obbligatoria: prima di procedere in giudizio, la legge richiede di tentare una mediazione formale tra le parti, nel tentativo di trovare un accordo senza arrivare alla sentenza. Solo se la mediazione fallisce si prosegue con la causa. La divisione giudiziale garantisce dunque ad ogni erede di ottenere la propria parte di eredità, superando l'eventuale impasse creato dal disaccordo. Tuttavia, va considerato che si tratta di un procedimento che può risultare lungo e costoso; per questo, quando possibile, è preferibile che i coeredi trovino un compromesso stragiudiziale (magari assistiti dai rispettivi consulenti) stipulando un accordo di divisione consensuale. In mancanza di accordo, l'intervento del giudice assicurerà comunque la tutela dei diritti di ciascun erede secondo legge, ponendo fine alla comunione ereditaria anche contro la volontà di taluni. 

21. Si può impugnare o revocare una rinuncia all'eredità? In quali casi è possibile farlo?   


La rinuncia all'eredità è un atto formale con cui un chiamato dichiara di non voler accettare la propria quota, e di regola ha effetti definitivi. Esistono però alcune situazioni in cui tale atto può essere "messo in discussione" o superato. Primo caso: revoca della rinuncia da parte del rinunciante. La legge (art. 525 c.c.) consente a chi ha rinunciato di tornare sui propri passi e accettare l'eredità, a patto che il diritto di accettare non sia prescritto (il termine ordinario è 10 anni dall'apertura della successione) e che, soprattutto, l'eredità non sia già stata accettata da altri chiamati nel frattempo. In pratica, se nessun altro ha acquisito quella quota ereditaria, il rinunciante può ripensarci e, con un atto di accettazione (davanti a notaio o in tribunale), "revocare" gli effetti della sua precedente rinuncia. Secondo caso: impugnazione della rinuncia per vizi del consenso. Il rinunciante può chiedere giudizialmente l'annullamento della propria rinuncia se prova che essa è stata determinata da violenza o dolo, cioè se è stato costretto con minaccia o ingannato a rinunciare (art. 526 c.c.). Questa impugnazione, di competenza del tribunale, va proposta entro 5 anni dalla rinuncia e, se accolta, comporta l'annullamento retroattivo della rinuncia stessa (come se il chiamato non avesse mai rinunciato). Si tratta comunque di ipotesi rare, che richiedono prove concrete di coercizione o raggiro subìto dall'erede. Terzo caso: impugnazione della rinuncia da parte dei creditori del rinunciante. La legge tutela i creditori di un chiamato all'eredità nel caso in cui questi rinunci e la sua rinuncia pregiudichi il loro diritto a essere soddisfatti. L'art. 524 c.c. prevede che i creditori, entro 5 anni, possano farsi autorizzare dal giudice ad accettare l'eredità in nome e luogo del loro debitore rinunciante. In tal modo, la rinuncia viene resa inefficace nei confronti dei creditori: essi subentrano nell'eredità (fino a concorrenza dei crediti vantati) per recuperare quanto è loro dovuto, mentre l'eventuale eccedenza dell'eredità rimane destinata, in base alla rinuncia, agli altri successibili. In sintesi, sebbene una rinuncia validamente effettuata produca immediatamente l'effetto di escludere il chiamato dall'eredità, il nostro ordinamento prevede alcuni meccanismi per "impugnarla" o annullarne gli effetti in casi particolari: su iniziativa dello stesso rinunciante (ripensamento consentito finché l'eredità è vacante), su iniziativa dei suoi creditori, oppure quando la rinuncia sia frutto di dolo o coercizione. Fuori da queste circostanze, la rinuncia è definitiva e vincolante. 

22. Gli eredi devono pagare le spese condominiali su un immobile ereditato? Chi risponde dei debiti condominiali lasciati dal defunto? 


Sì, gli eredi subentrano anche negli obblighi condominiali relativi agli immobili caduti in successione, ma con modalità diverse a seconda del momento in cui le spese sono maturate. Bisogna distinguere tra oneri condominiali già maturati prima del decesso del de cuius e oneri che maturano dopo, durante la comunione ereditaria. Le spese condominiali arretrate (non pagate dal defunto) fanno parte dei debiti ereditari: ogni erede che ha accettato l'eredità ne risponde in proporzione alla propria quota ereditaria, secondo il principio generale dell'art. 752 c.c.. Ciò significa che il condominio (o l'amministratore) potrà esigere da ciascun coerede soltanto la percentuale di spesa corrispondente alla sua quota di eredità, e non l'intero importo da uno solo. Ad esempio, se Tizio lascia un debito condominiale di 1.000 € e ha due figli eredi al 50%, ciascuno risponderà per 500 € verso il condominio. Le spese condominiali sopravvenute dopo la morte, invece – ad esempio le quote mensili che vengono deliberate successivamente, quando l'immobile è già passato in comunione tra gli eredi – seguono la regola della responsabilità solidale tra comproprietari. In pratica gli eredi, in quanto comproprietari pro-indiviso dell'immobile ereditato, sono considerati obbligati in solido verso il condominio per gli oneri correnti: l'amministratore potrà legittimamente chiedere il pagamento dell'intera rata a uno qualsiasi degli eredi (i quali poi dovranno regolare i conti tra loro in base alle quote). Questo avviene perché, dal momento dell'apertura della successione, gli eredi (o meglio, i beni ereditari) si trovano in una comunione e le obbligazioni relative alla cosa comune – come il pagamento dei servizi condominiali – gravano su tutti con vincolo solidale (art. 1294 c.c.). In sede di rendiconto condominiale, di solito l'amministratore indicherà semplicemente come soggetto obbligato "Gli eredi di … (nome del defunto)", ma convocando in assemblea ciascun erede comproprietario. È bene precisare che un chiamato all'eredità che abbia rinunciato non diventa proprietario dell'immobile e dunque non assume alcun obbligo verso il condominio (eventuali debiti pregressi rimangono a carico dell'eredità e saranno semmai soddisfatti dagli altri eredi o dal curatore dell'eredità giacente). Solo gli eredi che accettano, invece, diventano nuovi condomini a tutti gli effetti per la frazione di immobile acquisita, con diritto di voto in assemblea e obbligo di contribuire alle spese ordinarie e straordinarie come qualsiasi proprietario. In conclusione, i coeredi dovranno farsi carico sia delle morosità pregresse del de cuius verso il condominio (dividendole secondo le quote ereditarie), sia delle spese maturande finché la casa rimane in comunione tra loro (in solido), e poi – una volta eventualmente diviso o venduto l'immobile – ciascuno pagherà le spese della propria unità immobiliare individuale.

23. Come si calcolano le quote ereditarie in caso di figli naturali o adottivi? Il coniuge divorziato ha diritti sull'eredità? 


La normativa italiana attuale equipara completamente i figli naturali (nati fuori dal matrimonio) e i figli legittimi (nati da coppie sposate) quanto ai diritti successori. Ciò significa che tutti i figli riconosciuti o dichiarati tali hanno la medesima posizione ereditaria e sono eredi legittimi dei genitori in parti uguali (art. 566 c.c. e succ.). Ad esempio, se una persona lascia due figli – indipendentemente dal fatto che siano nati dentro o fuori dal matrimonio – e non vi è un coniuge superstite, l'eredità verrà divisa in parti uguali tra i due. Anche i figli adottivi legittimanti (ossia adottati con l'adozione piena, tipicamente da minorenni) hanno gli stessi diritti ereditari dei figli naturali nei confronti degli adottanti: un figlio adottivo succede al genitore adottivo come se ne fosse figlio biologico. Va ricordato, tuttavia, che dopo l'adozione legittimante si interrompono i rapporti ereditari con la famiglia d'origine del minore (il figlio adottato non eredita più dai genitori biologici, salvo che questi lo abbiano istituito erede nel testamento). Nel caso di figli adottati maggiorenni (adozione ordinaria di persone adulte, più rara), il rapporto successorio è limitato – per legge – solo tra adottante e adottato, e non si estende ai parenti dell'adottante. In ogni caso, per il de cuius tutti i figli, di qualsiasi origine, concorrono per capo (uno per testa) e hanno diritto alla stessa quota legittima riservata. Differentemente, il coniuge divorziato non è più un erede legittimo del suo ex coniuge. Dopo il divorzio, ciascun ex coniuge perde i diritti successori sull'altro (non fa più parte della successione legittima dell'ex). Dunque, se Tizio divorziato muore senza aver fatto testamento, l'eredità andrà ai suoi figli o altri parenti, ma nulla spetterà all'ex moglie divorziata. L'ordinamento prevede però una forma di tutela per l'ex coniuge economicamente debole: l'assegno a carico dell'eredità (art. 9-bis L. 898/1970). In sostanza, se il coniuge divorziato al momento della morte dell'ex coniuge stava già percependo l'assegno divorzile periodico o aveva i requisiti per ottenerlo, e versa in stato di bisogno, può chiedere al tribunale un assegno periodico pagato dagli eredi attingendo dall'eredità. Questo assegno successorio non è una "quota di eredità" equiparabile a quella di un coniuge (l'ex coniuge non rientra tra i legittimari), bensì un credito alimentare che il giudice quantifica tenendo conto dell'importo dell'assegno di divorzio e delle condizioni economiche degli eredi e dell'ex coniuge. L'assegno a carico dell'eredità, per legge, non può superare ciò che il divorziato percepiva come mantenimento dall'ex coniuge in vita ed è generalmente corrisposto in forma periodica (può anche essere liquidato in capitale); inoltre, non viene riconosciuto se all'ex coniuge era stata liquidata in passato una somma una tantum di divorzio. Fuori da questa ipotesi specifica, il coniuge divorziato non ha altri diritti sull'eredità dell'ex. Da notare invece che il coniuge separato (non divorziato) rimane un erede a tutti gli effetti, salvo che fosse separato con addebito (in tal caso è escluso dalla successione come se fosse divorziato, art. 548 c.c.). In sintesi: i figli naturali e adottivi concorrono all'eredità in base alle stesse regole dei figli legittimi, mentre un ex coniuge divorziato non è erede legittimo ma può beneficiare, ricorrendone i presupposti, di un assegno vitalizio a carico dell'eredità disposto dal giudice divorzista.

24. È possibile revocare o modificare un testamento già fatto? Come si può cambiare un testamento precedente? 


Sì, il testatore ha sempre la facoltà di revocare o modificare il proprio testamento fintanto che è in vita. Il nostro ordinamento prevede espressamente che il testamento non è irrevocabile: il testatore può cambiare idea e modificare le sue disposizioni di ultima volontà in qualsiasi momento, senza limiti temporali. La revoca può avvenire in varie forme. La forma più semplice è la redazione di un testamento successivo: se Tizio scrive un nuovo testamento in data posteriore, questo annullerà le disposizioni incompatibili dei testamenti precedenti (revoca tacita). In alternativa, il testatore può dichiarare espressamente di revocare un testamento anteriore (o alcune disposizioni in esso contenute) – ad esempio inserendo nel nuovo testamento una clausola tipo "Revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria…" – producendo così una revoca espressa. Un'altra modalità è la distruzione, lacerazione o cancellazione materiale del documento testamentario: ad esempio, nel caso di testamento olografo, il testatore può revocarlo strappandolo o annotando sulla carta la volontà di revoca (anche questa è considerata revoca espressa, se accompagnata da data e firma). Vi è infine la revoca legale: la legge stabilisce alcuni casi in cui il testamento si considera automaticamente revocato per sopravvenienze. Un caso tipico è la nascita o riconoscimento di un figlio dopo la stesura di un testamento che non lo prevedeva: in tal situazione scatta la revoca di diritto del testamento precedente (art. 687 c.c.), per tutelare il nuovo erede sopravvenuto. In pratica, se Caio fa testamento quando è senza figli e in seguito diventa genitore, il suo vecchio testamento è revocato per legge salvo che vi provveda a confermarlo. Da quanto detto, risulta che modificare un testamento è possibile semplicemente facendone uno nuovo: si consiglia di indicare chiaramente le nuove volontà e l'eventuale intenzione di abrogare i precedenti testamenti. Il testamento più recente – purché valido – prevale su quelli anteriori. È importante aggiungere che il diritto di revoca è irrinunciabile: il testatore non può validamente promettere di non cambiare più testamento, né può altri impedirglielo. Dunque, chi redige un testamento deve sapere che potrà aggiornarlo o cancellarlo in ogni momento (per adattarlo a nuove circostanze familiari, patrimoniali o anche a un ripensamento), ferma restando naturalmente la necessità di rispettare le quote di legittima dei familiari stretti anche nelle nuove disposizioni. In conclusione, un testamento già fatto non è definitivo: il testatore può sempre revocarlo o modificarlo secondo la sua volontà, assicurandosi però di seguire le forme previste (atto olografo con data e firma, atto notarile pubblico, ecc.) affinché le nuove disposizioni siano valide ed efficaci. 

25. Qual è la differenza tra erede e chiamato all'eredità? 


Il chiamato all'eredità è la persona che, al momento dell'apertura della successione, ha il diritto di accettare o rinunciare all'eredità in base alla legge o a un testamento, ma non è ancora erede fino a quando non accetta formalmente o tacitamente l'eredità. L'erede, invece, è colui che ha accettato l'eredità, diventando successore a titolo universale del defunto, subentrando nei suoi beni e nelle sue obbligazioni【art. 459 c.c.】.

In altre parole, tutti gli eredi sono stati prima "chiamati all'eredità", ma non tutti i chiamati diventano eredi: ciò accade solo con l'accettazione, che può essere espressa, tacita o con beneficio d'inventario. Il chiamato non può disporre validamente dei beni ereditari finché non accetta, e ha tempo fino a 10 anni dalla morte per decidere, salvo casi in cui possiede già i beni ereditari, che anticipano i termini【art. 485 c.c.】.

Comprendere la distinzione tra chiamato all'eredità ed erede effettivo è fondamentale per evitare atti nulli e per valutare con attenzione le conseguenze, soprattutto in presenza di debiti ereditari.

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